quarta-feira, 18 de julho de 2012

LA SIGNORA COSTELLO


Tropico dal Capricorno, di Henry Miller

Non la trovi spesso una fica che ammetta cose simili — voglio dire una fica normale e non una deficiente. C’era per esempio Trix Miranda e sua sorella signora Costello. Erano una bella coppia davvero. Trix, che andava col mio amico MacGregor, voleva far credere a sua sorella — abitavano insieme — di non aver mai avuto rapporti sessuali con MacGregor. E sua sorella voleva far credere addirittura d’essere frigida, di non poter avere alcun rapporto con l’uomo, anche volendo, perchè era “fatta troppo piccola”. E intanto il mio amico MacGregor se le scopava, tutte e due, e loro sapevano l’una dell’altra ma continuavano a far la parte, cosi. Perchè? Non l’ho mai scoperto. La Costello, quella troia, era isterica: ogni volta che sentiva di non ricevere una giusta percentuale delle chiavate offerte da MacGregor, si faceva venire un attacco pseudoepilettico. E questo voleva dire buttarle asciugamani addosso, batterle i polsi, aprirle il seno, strofinarle le gambe e alla fine issarla su a letto, dove la prendeva in cura MacGregor, appena messa a dormire l’altra. A volte le due sorelle si stendevano accanto, per il sonnellino pomeridiano; se in casa c’era MacGregor, andava su e si metteva a giacere in mezzo. Mi spiegò il trucchetto, ridendo: lui faceva finta di dormire, stava li a giacere col fiato grosso, apriva ora un occhio, ora l’altro, per vedere quale delle due sonnecchiava davvero. Appena aveva capito qual era quella addormentata attaccava con l’altra. In questi casi pare che preferisse l’isterica, la signora Costello, il cui marito la veniva a trovare ogni sei mesi. Maggiore il rischio, mi spiegò, maggiore il divertimento. Se era con l’altra sorella, Trix — che corteggiava in teoria — doveva dire che sarebbe stato un guaio se l’altra li avesse sorpresi così, e al tempo stesso — me lo ammise — sperava sempre che l’altra si svegliasse cogliendoli sul fatto. Ma la sorella sposata, quella che era “fatta troppo stretta”, diceva, era scaltra e poi si sentiva in colpa verso la sorella e se mai sua sorella l’avesse colta sul fatto, lei magari avrebbe finto di avere un attacco e perciò di non sapere cosa stesse facendo. Niente l’avrebbe indotta ad ammettere che la verità si concedeva il piacere di farsi chiavare da un uomo.
La conoscevo benissimo perchè per qualche tempo le diedi lezione, e perbacco facevo dei mio meglio per costringerla ad ammettere di avere una fica normale, e che una bella chiavata se la sarebbe goduta, concedendosela di tanto in tanto. Le raccontavo storie pazzesche, che poi erano storie sue vere, appena camuffate, e lei tuttavia restava inflessibile. L’avevo quasi portata al punto, un giorno — e questo supera tutto il resto — di farmi lasciar mettere un dito dentro. Ero sicuro di avercela fatta. E vero che era secca e un po’ stretta, ma io t’attribuivo all’isteria. Ma immaginatevi di arrivare a tal punto con una fica e che poi lei vi dica in faccia, tirando giù a forza il vestito: «Lo vedi, te lo avevo detto che son fatta male!». «Non ho visto niente del genere» feci io arrabbiato. «Cosa pretendi che faccia: che ti esamini al microscopio?»
“Questa si che mi piace» disse lei fingendo di inalberarsi. «E questo il modo di parlarmi?»
«Lo sai benissimo che menti» continuai. «Perchè dici le bugie? Non credi che sia umano aver la fica e adoperarla di tanto in tanto? Vuoi che ti si secchi?»
«Che linguaggio!» disse, mordendosi il labbro di sotto e arrossendo come una barbabietola. «Avevo creduto che tu fossi un vero signore.»
«Be’, allora tu non sei una vera signora» ribattei, «perchè anche una vera signora si permette una chiavata, di tanto in tanto, e poi le vere signore non chiedono ai veri signori di ficcargli un dito dentro per vedere come son strette.»
«Io non ti ho mai chiesto di toccarmi» disse. «Mai passato per il capo di chiederti di mettermi le mani addosso, o almeno sulle mie parti intime.»
«E magari pensavi che ti volevo pulire le orecchie, no?»
«In quel momento ti consideravo come un medico, solo questo ti posso dite» fece, rigida, perchè voleva diacciarmi.
«Senti» dissi io, deciso a correre il rischio, «mettiamo pure che sia stato tutto uno sbaglio, che non sia successo nulla, proprio nulla. Ti conosco troppo bene per pensare di insultarti cosi. Nemmeno mi passerebbe per il capo di farti una cosa simile, a te... no, che mi venga un accidente. Solo mi chiedevo se per caso tu avessi torto a dire in quel modo, che forse non sei fatta troppo piccola. Sai, è successo cosi in fretta che non saprei dire cosa ho provato. Non mi pare nemmeno di averti messo un dito dentro. Devo aver toccato solo di fuori — questo solo. Senti, stenditi qui sul divano... siamo amici.» La tirai giù accanto a me — si squagliava palesemente — e le misi un braccio alla vita, come per consolarla affettuosamente. «E sempre stato cosi?» chiesi con aria innocente, e subito dopo quasi mi mettevo a ridere, pensando che domanda stupida era quella. Nascose la testa con falso pudore come se avessi accennato a una tragedia indicibile. «Senti, se magari ti siedi in grembo. E piano piano me la tirai in grembo e al tempo stesso le infilavo pian piano la mano sotto il vestito e la posai leggermente sul ginocchio... “forse se stai un momento cosi ti senti meglio… ecco; così, lasciati andare fra le mie braccia... non ti senti meglio?» Lei non rispose, ma nemmeno fece resistenza; stava lì a corpo morto, con gli occhi chiusi. A poco a poco, piano piano, dolce dolce, salii con la mano su per la gamba, e intanto le parlavo a voce plana, suadente. Quando le misi le dita sull’inguine e le aprii le piccole labbra era bagnata come lo straccio della rigovernatura. Gliela massaggiavo pian piano, aprendola sempre di più, e intanto le propinavo per telepatia la storiella delle donne che a volte si sbagliano sul proprio conto, e credono di avercela stretta mentre invece son normalissime, e più  andavo avanti, più  lei si bagnava e più si apriva. Adesso le tenevo quattro dita dentro e c’era spazio per altre ancora, se ne avessi avute. Aveva una fica enorme. ed era stata calibrata a dovere, lo sentii. La guardai per vedere sa ancora teneva gli occhi chiusi. La bocca l’aveva aperta e ansimava, ma gli occhi eran serrati, come se volesse far credere a se stessa che era tutto un sogno. Ora la potevo anche maneggiare con forza, senza rischio della minima protesta. E forse con un po’ di cattiveria, la brancicavo oltre il necessario, giusto per vedere cosa sarebbe successo. Era molle come un cuscino di piume e anche quando batté la testa nel bracciolo del divano, non mostrò alcun segno di irritazione. Era come se si fosse anestetizzata per una scopata gratuita. Le levai tutti i vestiti e li buttai sul pavimento, e dopo essermela lavorata un poco sul divano, lo tirai fuori e la stesi sul pavimento, sulle sue vesti- e poi ce lo rimisi, e lei lo teneva stretto con quella valvola succhiante che sapeva adoperare tanto bene, nonostante i sintomi esteriori del coma.

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