“SEXUS”,
di Henry Miller
Melanie svolazza qua e là come un albatros impazzito. «Dovete farvi asciugare i
vestiti!» geme. Ha inizio uno spogliarello in grande stile, tra ansiti e strilli
e rimproveri. Infilo la vestaglia di Maude, quella con le piume di maribù;
sembro un invertito che stia per impersonificare Loulou Hurluburlu. Mi sta
venendo un'erezione, «un'erezione personale», non so se mi spiego.
Maude è di sopra e sta mettendo la bambina a letto. Mi aggiro a piedi nudi, con
la vestaglia aperta; una sensazione piacevole; Melanie fa capolino, soltanto per
vedere se sto bene. Si aggira per la casa in mutande, con il pappagallo
appollaiato sul polso; ha paura del fulmine. Le sto parlando con le mani chiuse
intorno al bischero. Potrebbe essere una scena tratta dal Mago di Oz, di Memling.
Ora: dreiviertel takt. Di tanto in tanto i fulmini colpiscono di nuovo; lasciano
in bocca un sapore di gomma bruciata.
Sono
in piedi davanti al grande specchio e sto ammirando la mia verga palpitante,
quando Maude entra. È vivace come una lepre e tutta in ghingheri, con tulle e
mussola. Non sembra affatto spaventata da quello che vede nello specchio; si
avvicina e rimane in piedi accanto a me. «Aprila!» la esorto.
«Sei
famelico?» domanda lei, slacciandosi con comodo.
La
faccio voltare e la schiaccio contro di me; alza una gamba per consentirmi di
penetrare. Ci guardiamo a vicenda nello specchio e lei è affascinata; le scopro
il sedere, in modo che possa vedere meglio. La sollevo e avvolge le gambe
intorno a me. «Sì, fallo», mi esorta. «Fottimi, fottimi!!»
A un
tratto allenta la stretta delle gambe, si stacca. Afferra la grossa poltrona e
la volta, appoggiando le mani sulla spalliera. Le sue natiche sporgono
invitanti. Non aspetta che io glielo metta... lo afferra e lo introduce ella
stessa, sempre guardando nello specchio. Lo muovo avanti e indietro adagio,
tenendo la vestaglia sollevata come una sbrindola che sia stata inzaccherata. A
lei piace vederlo uscire... vedere di quanto si ritragga prima di cader fuori.
Allunga una mano sotto di sé e si trastulla con i miei testicoli; è del tutto
scatenata, ormai, e non sa più che cosa sia il pudore. Mi ritiro quanto più è
possibile senza lasciarlo scivolar fuori e lei fa ruotare il sedere, affondando
sul membro di tanto in tanto e afferrandolo con un becco piumoso. Infine ne ha
abbastanza. Vuole stendersi sul pavimento e avvolgermi le gambe intorno al
collo.
«Mettilo fino in fondo», mi supplica. «Non aver paura di farmi male... lo
voglio. Voglio che tu faccia tutto.»
Lo
infilai così profondamente che mi parve di essere sepolto in un letto di
molluschi; Maude vibrava ed era scivolosa in ogni piega. Mi chinai e le succhiai
i capezzoli; erano duri come unghie. A un tratto lei mi tirò giù la testa e
cominciò a mordermi selvaggiamente... labbra, orecchie, gote, collo. «La vuoi...
non è vero?» sibilò. «La vuoi, la vuoi...» Le labbra le si contorsero in modo
osceno. «La vuoi... la vuoi!» E si sollevò quasi completamente dal pavimento,
nel proprio abbandono. Poi un gemito, uno spasimo, un'espressione selvaggia,
torturata, come se avesse avuto la faccia sotto uno specchio martellato da una
mazza. «Non toglierlo, ancora», grugnì. Rimase immobile, le gambe ancora intorno
al mio collo, e la bandierina dentro di lei prese a guizzare e a sventolare.
«Dio», disse «non posso smettere.»
Avevo il pene ancora saldo. Rimaneva ubbidiente sulle sue labbra bagnate, quasi
stesse ricevendo il sacramento da un angelo lascivo. Ella venne di nuovo, come
una fisarmonica che si afflosci in una borsa piena di latte. Ero sempre più
eccitato. Le tirai giù le gambe e gliele feci distendere accanto alle mie.
«Adesso non muoverti, accidenti a te», dissi. «Te lo darò come si deve.»
Adagio e furiosamente lo mossi dentro e fuori. «Ah, ah... Oh!» sibilòMaude,
risucchiando il respiro. Continuai come uno Juggernaut. Moloch che fotteva seta.
Organza Friganza. Il bolero a stoccate dirette. Gli occhi le stavano divenendo
folli; sembrava un elefante in equilibrio sulla palla. Le mancava soltanto la
proboscide per barrire. Era una chiavata fino alla spossatezza. Le caddi addosso
e le morsi le labbra fino a lacerargliele.
Poi,
a un tratto, pensai alla doccia. «Alzati! Alzati!» dissi, dandole di gomito in
modo rude.
«Non
ne ho bisogno», disse fiocamente, rivolgendomi un sorriso saputo.
«Vuoi dire...?» La guardavo stupito.
«Sì,
non è il caso di preoccuparsi... Tu sei a posto? Non vuoi lavarti?» In bagno,
confessò di essere andata dal medico... un altro medico. Non vi sarebbe più
stato nulla da temere.
«Ah,
è così?» E sibilai.
Mi
incipriò la verga, la stirò come una guantaia, poi si chinò e la baciò. «Oh,
Dio», disse, gettandomi le braccia al collo, «se soltanto...»
«Se
soltanto che cosa?»
«Lo
sai cosa voglio dire...»
Mi
scollai da lei e, voltando la testa, dissi: «Sì, credo di saperlo. In ogni modo
non mi odi più, vero?»
«Non
odio nessuno», rispose. «Mi dispiace che sia andata così. Ora dovrò dividerti...
con lei.» Poi si affrettò a soggiungere: «Devi essere affamato. Prima di
andartene, lascia che ti prepari qualcosa». Anzitutto, si incipriò accuratamente
il viso, si passò il rossetto sulle labbra e si acconciò i capelli con
negligenza, ma in modo attraente. Aveva il négligé aperto dalla vita in su.
Sembrava mille volte più bella di quanto l'avessi mai veduta; era come un
animale vorace e splendente.
Mi
aggirai per la cucina con la verga che pendeva fuori e l'aiutai a preparare uno
spuntino freddo. Con mio stupore, scovò una bottiglia di vino fatto in casa,
vino di sambuco, regalatole da una vicina. Chiudemmo le porte e tenemmo il gas
acceso per stare al caldo. Ah, fu davvero meraviglioso; era come conoscersi
daccapo. Di tanto in tanto mi alzavo, la cingevo con le braccia e la baciavo
appassionatamente, facendole scivolare la mano sulla vulva; non era affatto
timida né ritrosa. All'opposto. A un certo momento, quando tolsi la mano, me la
trattenne e poi, chinandosi rapida, applicò la bocca al mio pene e lo succhiò
con avidità.
«Non
devi andartene immediatamente, vero?» domandò, mentre mi rimettevo a sedere e
riprendevo a mangiare.
«No,
se non vuoi», risposi, in uno stato d'animo di amabile docilità.
«È
stata colpa mia», disse, «se questo non è mai accaduto prima? Ero una creatura
così ritrosa?» Mi guardò con tanta franchezza e sincerità che quasi non
riconobbi la donna con la quale avevo vissuto per tutti quegli anni.
«Presumo che la colpa sia di tutti e due», risposi, vuotando un altro bicchiere
di vino di sambuco.
Maude si avvicinò alla ghiacciaia per toglierne qualche ghiottoneria.
«Lo
sai che cosa ho voglia di fare?» disse, tornando accanto al tavolo con le
braccia piene. «Mi piacerebbe portar giù il grammofono e ballare. Ho alcuni
dischi di musica molto dolce... ti piacerebbe?»
«Sicuro», dissi, «sembra un'ottima idea.»
«E
ubriachiamoci un po'... ti dispiacerebbe? Mi sento così felice. Voglio
festeggiare.»
«Ma
il vino?» domandai. «C'è soltanto questo?»
«Posso farmene dare dell'altro dalla ragazza che abita di sopra», disse. «Oppure
potremmo bere un po' di cognac... ti andrebbe?»
«Sono disposto a bere qualsiasi cosa... se questo può renderti contenta.» Si
accinse subito ad uscire. Balzai in piedi e l'afferrai alla vita; le sollevai la
vestaglia e le baciai il sedere.
«Lasciami andare», mormorò. «Torno tra un minuto.» Quando tornò, la udii
bisbigliare con la ragazza che alloggiava al piano di sopra. Poi bussò piano sul
pannello di vetro. «Mettiti qualcosa», tubò. «C'è Elsie con me.»
Andai in bagno e mi avvolsi un asciugatoio intorno ai fianchi. Elsie, quando mi
vide, scoppiò in una risata; non ci eravamo più incontrati dal giorno in cui mi
aveva sorpreso a letto con Mona. Sembrava d'ottimo umore, e per nulla
imbarazzata dalla nuova piega degli avvenimenti. Avevano portato un'altra
bottiglia di vino e del cognac; il grammofono e i dischi.
Elsie sembrava decisa a prendere parte alla nostra piccola festicciola; mi ero
aspettato che Maude le offrisse da bere, per poi liberarsi di lei più o meno
educatamente. Invece, non andò affatto così; la presenza di Elsie non la
disturbava affatto. Si scusò perché era seminuda, ma con una risatina allegra,
come se si fosse trattato della cosa più naturale del mondo. Mettemmo un disco e
ballai con Maude. L'asciugatoio scivolò giù, ma nessuno di noi due si sognò di
raccattarlo. Quando ci separammo, avevo il bischero ritto come un'asta di
bandiera; placidamente presi il bicchiere. Elsie mi scoccò un'occhiata stupita,
poi voltò la testa. Maude mi porse l'asciugatoio, o piuttosto lo appese alla
verga. «Non ti dispiace, vero, Elsie?» disse. Elsie era tremendamente
silenziosa... le si sentivano le tempie martellare. Subito dopo si avvicinò al
grammofono e voltò il disco. Poi prese il bicchiere senza guardarci e lo vuotò
d'un fiato.
«Perché non balli con lei?» disse Maude. «Non vi interromperò. Su, Elsie,
balla.» Mi avvicinai a Elsie con l'asciugatoio drappeggiato sul bischero. Nel
voltare le spalle a Maude, ella tolse l'asciugatoio e mi afferrò la verga con
mano febbrile. La sentii fremere in tutto il corpo, come se fosse stata presa
dai brividi.
«Vado a prendere qualche candela», disse Maude. «C'è troppa luce qui», e
scomparve nella stanza adiacente. Subito Elsie smise di ballare, applicò le
labbra alle mie e mi cacciò la lingua in gola; le misi la mano sulla potta e
spremetti. Lei continuava a stringermi il bischero. Il disco si fermò, ma
nessuno di noi due si staccò dall'altro per cambiarlo. Udii Maude che tornava
indietro, ma continuai a rimanere stretto tra le braccia di Elsie.
Adesso incominciano i guai, pensai tra me e me. Maude, invece, parve non badare
affatto a noi. Accese le candele, poi spense la luce elettrica. Mi stavo
scostando da Elsie quando la sentii in piedi accanto a noi.
«Va
bene così», disse, «non me ne importa. Lasciate partecipare anche me.» Ciò
detto, ci allacciò entrambi con le braccia e tutti e tre incominciammo a
baciarci.
«Mamma mia, se fa caldo!» disse Elsie, scostandosi finalmente.
«Togliti il vestito se vuoi», disse Maude. «Io mi tolgo questa», e, facendo
seguire alle parole l'azione, scivolò fuori della vestaglia e rimase dinanzi a
noi completamente nuda.
Un
momento dopo, eravamo tutti e tre nudi come vermi.
Sedetti con Maude in grembo. Aveva di nuovo la potta bagnata; Elsie rimaneva in
piedi accanto a noi, con un braccio intorno al collo di Maude. Era un po' più
alta di lei e ben fatta. Le strofinai la mano sul ventre e le infilai le dita
nel cespuglietto che si trovava quasi alla stessa altezza della mia bocca.
Maude guardava con un sorriso piacevole e soddisfatto. Mi sporsi in avanti e
baciai la potta di Elsie.
«È
meraviglioso non essere più gelosa», disse Maude con grande semplicità.
Elsie era scarlatta in faccia. Non sapeva bene quale dovesse essere la sua
parte, sin dove avrebbe potuto osare spingersi; scrutava Maude attentamente,
quasi non fosse del tutto persuasa della sua sincerità. Intanto stavo baciando
appassionatamenteMaude, le dita sempre sulla vulva di Elsie. Sentivo Elsie farsi
più vicina, muoversi. Al contempo, Maude si sollevò e, spostando il sedere, con
destrezza riuscì a riabbassarsi avendo la mia verga bene inserita; era voltata
in avanti, adesso, con la faccia premuta contro le mammelle di Elsie. Alzò la
testa e prese in bocca il capezzolo. Elsie ebbe un fremito e la sua potta prese
a vibrare con serici spasmi. A questo punto, la mano di Maude, che era rimasta
sulla vita di Elsie, scivolò in basso e accarezzò le lisce natiche; dopo un
momento si abbassò ulteriormente e incontrò la mia. Istintivamente ritrassi la
mano. Elsie si spostò un poco e allora Maude si sporse in avanti e applicò la
bocca sulla vulva di Elsie; contemporaneamente Elsie si chinò, al di sopra di
Maude, e accostò le labbra alle mie. Stavamo tremando tutti e tre, adesso, come
se avessimo avuto la febbre malarica.
Mentre sentivo Maude venire, mi trattenni dentro di lei, deciso a risparmiarmi
per Elsie. Con il bischero ancor teso, dolcemente sollevai Maude dal mio grembo
e afferrai Elsie. Ella mi cavalcò a faccia in avanti e, con incontrollabile
passione, mi gettò le braccia al collo, incollò le labbra alle mie, e fotté a
più non posso. Discreta, Maude era andata in bagno. Quando tornò, Elsie mi
sedeva in grembo, tenendomi un braccio intorno al collo, la faccia in fiamme;
poi si alzò e andò in bagno. Io mi avvicinai all'acquaio e mi lavai là.
«Non
sono mai stata così felice», disse Maude, avvicinandosi al grammofono e mettendo
un altro disco. «Dammi il tuo bicchiere», soggiunse, e, mentre lo riempiva,
mormorò: «Che cosa dirai una volta arrivato a casa?» Non risposi nulla, ed ella
soggiunse allora, in un bisbiglio: «Potresti dire che una di noi non si è
sentita bene».
«Non
ha importanza», risposi. «Inventerò qualcosa.»
«Non
ti arrabbierai con me?»
«Arrabbiarmi? Per quale motivo?»
«Perché ti ho trattenuto così a lungo.»
«Che
assurdità», dissi.
Mi
gettò le braccia al collo e mi baciò con tenerezza. Poi, allacciandoci alla
vita, prendemmo i bicchieri e li vuotammo in un brindisi silenzioso; in quel
momento tornò Elsie. Rimanemmo lì nudi come attaccapanni, sottobraccio, e
brindammo gli uni agli altri.
Ricominciammo a ballare, mentre la cera fusa delle candele colava. Sapevo che di
lì a pochi momenti le candele si sarebbero spente e che nessuno si sarebbe
sognato di andare a prenderne altre. Cambiavamo compagno a brevi intervalli per
evitarci a vicenda l'imbarazzo di rimanere in piedi a guardare; a volte Maude e
Elsie ballavano insieme, strofinando una contro l'altra oscenamente la potta,
poi si separavano ridendo e l'una o l'altra mi afferrava. La sensazione di
libertà e di intimità era tale che ogni gesto, ogni atto sembravano consentiti;
cominciammo a ridere e a scherzare sempre più. Quando infine le candele si
spensero, prima l'una, poi l'altra, e soltanto un pallido fascio di luce lunare
penetrò attraverso la finestra, ogni finzione di ritegno e di decenza scomparve.
Fu
Maude ad avere l'idea di sparecchiare la tavola. Elsie l'aiutò senza capire,
come se fosse stata ipnotizzata; rapidamente, tutte le stoviglie vennero messe
nelle tinozze. Vi fu una rapida corsa nella stanza adiacente per prendere una
coperta soffice che venne stesa sul tavolo. E persino un guanciale. Elsie stava
cominciando a capire; guardava con gli occhi stralunati.
Prima di passare ai fatti, però, Maude ebbe un'altra idea ispirata... preparare
lo zabaglione. Fu necessario riaccendere la luce e le due donne si diedero da
fare rapidamente, quasi con frenesia; versarono nell'intruglio una dose generosa
di cognac. Mandando giù lo zabaglione, sentii che mi penetrava subito nel
bischero, nei testicoli; mentre lo stavo sorseggiando, con la testa reclinata
all'indietro, Elsie mi mise la mano a coppa intorno alle palle. «Una è più
grande dell'altra», disse ridendo. Poi, dopo una breve esitazione: «Non potremmo
fare qualcosa tutti insieme?» e guardò Maude. Maude sorrise, come a dire...
perché no?
«Spegniamo la luce», disse Elsie. «Adesso non ci serve più, no?» Si mise sulla
sedia accanto al tavolo. «Voglio guardarvi», soggiunse, battendo la mano sulla
coperta. Afferrò Maude, la sollevò e la mise sul tavolo. «Tutto questo è nuovo
per me», disse. «Un momento, eh?» Mi prese la mano e mi trasse a sé, poi,
guardando Maude... «Posso?» E, senza aspettare la risposta, si chinò, mi afferrò
il pene e se lo mise in bocca. Dopo un po', tirò indietro la testa. «E adesso...
lasciatemi guardare!» Mi diede una piccola spinta, come per farmi fretta.
Maude si distese come una gatta, il sedere che sporgeva oltre l'orlo del tavolo,
il guanciale sotto il capo. Mi avvolse le gambe intorno alla vita, poi, a un
tratto, le districò e me le mise sulle spalle. Elsie era in piedi accanto a me,
a testa bassa, e guardava assorta, trattenendo il respiro. «Tiralo fuori un
poco», disse in un rauco bisbiglio. «Voglio vederlo entrare di nuovo.» Poi,
rapidamente, corse alla finestra e alzò la veneziana. «Dacci!» disse. «Avanti,
fottila!» Mentre lo affondavo, sentii Elsie scivolar giù accanto a me. Un attimo
dopo sentii la lingua di lei leccarmi energicamente i testicoli.
A un
tratto, del tutto allibito, udii Maude dire: «Non venire ancora. Aspetta...
lascialo per Elsie».
Lo
estrassi, spingendo così il sedere in faccia a Elsie e facendola cadere
all'indietro sul pavimento; ella scoppiò in una risata e, svelta, si rimise in
piedi. Maude discese dal tavolo e Elsie, agilmente, prese il suo posto,
mettendosi in posizione. «Non potresti fare qualcosa anche tu?» disse poi a
Maude, drizzandosi a sedere. «Ho un'idea.» E saltò giù dal tavolo, gettando
quindi la coperta sul pavimento e poi il guanciale. Non le occorse molto per
escogitare una configurazione interessante.
Maude era distesa supina, Elsie stava accosciata su di lei con le ginocchia
flesse, il capo verso i piedi di Maude, ma la bocca incollata alla sua vulva.
Quanto a me, in ginocchio, lo mettevo a Elsie da tergo. Maude si trastullava con
i miei testicoli, una manipolazione leggera, delicata, con la punta delle dita.
Sentivo Maude dimenarsi, mentre Elsie la leccava furiosamente e avidamente. Una
luce magica e scialba inondava la stanza, ed io sentivo in bocca un sapore di
potta. Avevo una di quelle erezioni ultime che minacciano di non finire mai. Di
tanto in tanto lo estraevo e, spingendo avanti Elsie, mi abbassavo e lo offrivo
all'agile lingua di Maude. Poi tornavo ad affondarlo ed Elsie si dimenava come
una pazza e schiacciava il grugno sulla potta di Maude, scuotendo la testa come
un terrier. Infine lo tirai fuori e, spingendo da una parte Elsie, caddi su
Maude e la penetrai con una violenza vendicativa.
«Fallo! Fallo!» supplicò lei, come se fosse stata in attesa della scure. Di
nuovo sentii sui testicoli la lingua di Elsie. Infine Maude venne, come una
stella che esplode, e una raffica di parole mozze e di frasi incompiute le
proruppe dalla bocca. Lo estrassi, ancora rigido come un attizzatoio, temendo
ormai che non sarei più venuto, e brancolando cercai Elsie. Era tremendamente
viscida e aveva la bocca né più né meno come una vulva. «Lo vuoi?» dissi,
ficcandoglielo dentro e spostandolo tutto attorno, come un demone ubriaco.
«Avanti, fotti, fotti!» gridò lei, mettendomi le gambe sulle spalle e accostando
ancor più il sedere. «Dammelo, dammelo, amico!» Stava quasi urlando, adesso.
«Sì,
ti fotterò... ti fotterò!» e lei si dimenava e si contorceva, guizzava e mi
mordeva e mi graffiava.
«Oh,
oh! No. No, per piacere! Fa male!» urlò.
«Chiudi il becco, sgualdrina!» dissi. «Fa male, eh? Lo volevi, no?» La tenni
stretta, mi sollevai un po' di più per metterglielo fino all'elsa e spinsi
finché non pensai che l'utero avrebbe ceduto. Poi venni... proprio in quella
bocca da lumaca che era completamente aperta. Elsie ebbe convulsioni, delirante
di voluttà e di dolore; poi le sue gambe mi scivolarono giù dalle spalle e
caddero sul pavimento con un tonfo. Rimase immobile come se fosse morta,
completamente spossata.
«Gesù», dissi, standole a cavalcioni, con lo sperma che continuava a uscire,
gocciolandole sul seno, sulla faccia, sui capelli. «Gesù, non ne posso più. Sono
esausto, lo sapete?» Mi avviai con passo stanco verso la camera.
Maude stava accendendo una candela. «Si sta facendo tardi», disse.
«Io
non torno a casa», mormorai. «Dormirò qui.»
«Davvero?» domandò Maude, e un fremito irreprimibile le si insinuò nella voce.
«Sì,
non posso tornare in questo stato, ti pare? Gesù, sono barcollante e intontito.»
Mi lasciai cadere su una sedia. «Dammi un goccio di quel cognac, per piacere,
devo tirarmi su.» Maude versò una dose abbondante e mi tenne il bicchiere
accostato alle labbra, come se stesse dandomi una medicina.
Elsie si era messa in piedi, un po' vacillante e traballante. «Danne uno anche a
me», la esortò. «Che notte! Dovremmo trovarci di nuovo, una volta o l'altra.»
«Sì,
domani», dissi.
«Sei
stato meraviglioso», disse, accarezzandomi la zucca. «Non avrei mai creduto che
tu fossi così... Mi hai quasi ammazzata, lo sai?»
«Faresti meglio a fare la doccia», osservò Maude.
«Credo di sì», sospirò Elsie. «Ma me ne infischio. Se ci sono rimasta,
pazienza.»
«
Va' in bagno, Elsie», dissi io. «Non fare la stupida, accidenti.»
«Sono troppo stanca», disse lei.
«Aspetta un momento», dissi. «Voglio darti un'occhiata prima che tu vada in
bagno.» La feci salire sul tavolo e la costrinsi ad allargare ben bene le gambe.
Tenendo il bicchiere in mano, le aprii la potta con il pollice e l'indice
dell'altra mano. Lo sperma stava ancora colando.
«È
una gran bella potta, Elsie.» Maude guardò bene a sua volta. «Baciala», dissi,
spingendole con dolcezza il naso sul cespuglio di Elsie.
Rimasi seduto, guardando Maude che biascicava la vulva di Elsie. «È piacevole»,
stava dicendo Elsie. «Spaventosamente piacevole.» Si muoveva come una ballerina
specializzata nella danza del ventre, legata al pavimento. Il sedere di Maude
sporgeva tentatore. Nonostante la stanchezza, il bischero cominciò a gonfiarmisi
di nuovo. Si irrigidì come un budino di sangue. Mi misi dietro a Maude e glielo
infilai. Ella fece ruotare e ruotare il sedere, avendo dentro soltanto la punta.
Elsie, intanto, si contorceva per il piacere; aveva un dito in bocca e si stava
mordicchiando la nocca. Continuammo così per parecchi minuti, finché Elsie non
ebbe un orgasmo. Poi ci districammo e ci guardammo a vicenda come se non ci
fossimo mai visti prima. Eravamo storditi.
«Me
ne vado a letto», dissi, deciso a farla finita. Mi diressi verso la stanza
adiacente, pensando di coricarmi sul divano.
«Puoi dormire con me», disse Maude, prendendomi per il braccio. «Perché no?»
soggiunse, scorgendo l'espressione stupita nei miei occhi.
«Già», disse Elsie, «perché no? Magari vengo a letto anch'io con voi due. Me lo
consentiresti?» domandò a Maude, di punto in bianco. «Non vi infastidirò»,
soggiunse. «Soltanto, non sopporto l'idea di lasciarvi adesso.»
«Ma
che cosa diranno i tuoi?» osservò Maude.
«Non
possono sapere che Henry è rimasto, no?»
«No,
certo!» disse Maude, un po' spaventata da quella possibilità.
«E
Melanie?» dissi io.
«Oh,
se ne va la mattina presto. Ha trovato un lavoro, adesso.» A un tratto mi
domandai che diavolo avrei detto a Mona; ero quasi in preda al panico.
«Credo che dovrei telefonare a casa», mormorai.
«Oh,
non adesso», disse Elsie, persuasiva. «È così tardi... Aspetta.» Nascondemmo le
bottiglie, ammonticchiammo i piatti nell'acquaio, e portammo il grammofono di
sopra; era preferibile che Melanie non sospettasse troppo. Percorremmo il
corridoio in punta di piedi e salimmo le scale con le braccia cariche.
Mi
distesi tra loro due, una mano su una potta e una sull'altra. Giacquero immobili
per molto tempo, profondamente addormentate, credevo. Ero troppo stanco per
poter dormire; rimanevo lì con gli occhi spalancati, fissando l'oscurità. Infine
mi girai sul fianco, verso Maude. All'istante ella si voltò verso di me,
allacciandomi con le braccia e incollando le labbra alle mie. Poi staccò la
bocca e me l'accostò all'orecchio. «Ti amo», bisbigliò debolmente. Non risposi.
«Hai sentito?» bisbigliò. «Ti amo!» La strinsi più forte e le infilai la mano
tra le gambe; proprio in quel momento sentii Elsie girarsi e rannicchiarsi
incurvata contro di me. Sentii la mano di lei insinuarmi tra le gambe e
spremermi i testicoli. Mi premeva le labbra sul collo e mi baciava morbidamente,
appassionatamente, con labbra umide e fresche.
Dopo
qualche tempo, tornai a voltarmi supino. Elsie fece altrettanto. Chiusi gli
occhi e cercai di evocare il sonno. Impossibile. Il letto era deliziosamente
soffice, i corpi accanto a me erano morbidi, aderivano a me, e avevo nelle
narici l'odore dei capelli e del sesso. Dal giardino giungeva la fragranza greve
della terra impregnata di pioggia. Sembrava strano, strano in modo cullante,
essere di nuovo in quel grande letto, il letto coniugale, con una terza persona
accanto a noi, e tutti e tre avviluppati in una franca, sensuale lussuria.
Troppo bello per essere vero. Mi aspettavo che la porta venisse spalancata da un
momento all'altro e che una voce accusatrice gridasse: «Fuori di lì, creature
spudorate!» Ma intorno a noi non v'erano che il silenzio della notte, le
tenebre, i grevi, sensuali odori della terra e del sesso.
Quando tornai a spostarmi, mi girai verso Elsie. Mi stava aspettando, impaziente
di premere la potta contro di me, di insinuarmi nella gola la lingua spessa e
tesa.
«Si
è addormentata?» bisbigliò. «Fammelo ancora una volta», supplicò.
Rimasi immobile, il pene afflosciato, il braccio abbandonato sul seno di lei.
«Non
adesso», bisbigliai. «Forse domattina.»
«No,
adesso!» mi esortò. Avevo la verga incurvata nella mano di lei come una lumaca
morta. «Per piacere, per piacere», bisbigliò. «Lo voglio. Soltanto una volta
ancora, Henry.»
«Lascialo dormire», disse Maude, rannicchiandomisi contro. Parlava come se fosse
stata anestetizzata.
«Va
bene», disse Elsie, dando un colpetto sul braccio di Maude. Poi, dopo alcuni
momenti di silenzio, premette le labbra contro il mio orecchio, e bisbigliò
adagio, inserendo una pausa tra una parola e l'altra: «Quando si sarà
addormentata, sì?»
Annuii. A un tratto mi accorsi che stavo precipitando in un letargo. «Dio sia
ringraziato», dissi a me stesso.
Seguì un vuoto, un lungo vuoto, mi parve, durante il quale non esistetti,
assolutamente. Mi destai a poco a poco, vagamente conscio del fatto che la mia
verga era nella bocca di Elsie. Le passai la mano sul capo e le accarezzai la
schiena; ella alzò una mano e mi mise le dita sulla bocca, come per ammonirmi a
non protestare, un ammonimento inutile perché, strano a dirsi, mi ero destato
con la piena consapevolezza di quanto stava accadendo. Il bischero reagiva già
alle carezze labiali di Elsie; era un nuovo pene, sembrava più sottile, più
lungo, più appuntito... come quello dei cani. E aveva una sua vitalità, come se
si fosse riposato indipendentemente da me, come se avesse schiacciato un
pisolino per suo conto.
Con
dolcezza, adagio, furtivamente - perché eravamo diventati furtivi, adesso? mi
domandai - sollevai Elsie e la trassi a me. Aveva una potta diversa da quella di
Maude, più lunga, più stretta, come il dito di un guanto che mi scivolasse sulla
verga. Feci raffronti mentre, con cautela, la sollevavo e l'abbassavo. Feci
scorrere le dita lungo l'orlo della vulva, afferrai il cespuglietto e lo tirai
con dolcezza. Non un bisbiglio ci sfuggì dalle labbra. Elsie mi stava affondando
i denti nella spalla. Si inarcava, in modo da avere soltanto la punta dentro di
sé, e intorno ad essa, adagio, abilmente, in modo torturante, stava facendo
ruotare la potta. Di tanto in tanto affondava sulla verga e ci dava dentro
simile a un animale.
«Dio, mi piace!» bisbigliò infine. «Mi piacerebbe averti tutte le notti.»
Rotolammo sul fianco e giacemmo incollati insieme, senza fare alcun movimento,
senza emettere alcun suono. Con straordinarie contrazioni muscolari, la vagina
di lei si trastullava con la mia verga come se avesse avuto una volontà e una
vita proprie.
«Dove abiti?» bisbigliò Elsie. «Dove posso vederti solo? Scrivimi domani...
dimmi dove posso incontrarti. Voglio una chiavata ogni giorno... hai capito? Non
venire ancora, per piacere, voglio che duri in eterno.»
Silenzio. Soltanto il battito delle sue pulsazioni tra le gambe. Non avevo mai
sentito una così stretta aderenza, una così lunga, liscia, serica, pulita,
fresca, stretta aderenza. Non poteva essere stata fottuta più d'una dozzina di
volte. E le radici dei suoi capelli, così forti e fragranti. E i suoi seni,
fermi e lisci, quasi come mele. E anche le dita, forti, duttili, avide, che
sempre vagavano, stringevano, accarezzavano, solleticavano. Quanto le piaceva
afferrarmi i testicoli, tenerli nell'incavo del palmo, soppesarli, poi spremere
lo scroto con due dita, come se avesse voluto mungermi. E la sua lingua sempre
attiva, i denti che mordevano, pizzicavano, mordicchiavano...
Adesso era molto tranquilla, non un muscolo si muoveva. Di nuovo bisbigli.
«Mi
sto comportando bene? Mi insegnerai, vero? Sono infoiata. Potrei farmi fottere
per sempre... Non sei più stanco, vero? Lascialo lì, semplicemente... non
muoverti. Se vieni, non toglierlo... non lo toglierai, vero? Dio, questo è il
paradiso.» Di nuovo il silenzio. Avevo la sensazione di poter giacere in quel
modo indefinitamente. Volevo ascoltarla ancora.
«Ho
un'amica», bisbigliò. «Potremmo incontrarci da lei... non direbbe niente. Gesù,
Henry, non avevo mai creduto che potesse essere così. Puoi fottere in questo
modo ogni notte?» Sorrisi nell'oscurità.
«Che
cosa c'è?» bisbigliò.
«Non
ogni notte», bisbigliai, lasciandomi quasi sfuggire una risatina.
«Henry,
fotti! Presto, fottimi... sto venendo.» Venimmo simultaneamente, un orgasmo
prolungato, che mi indusse a domandarmi da dove diavolo uscisse il succo.
«Ci
sei riuscito!» bisbigliò Elsie. Poi: «È stato perfetto... è stato meraviglioso!»
Maude si girò pesantemente nel sonno.
«Buona notte», bisbigliai. «Ora dormo... sono morto.»
«Scrivimi domani», bisbigliò lei, baciandomi la gota. «Oppure telefonami...
prometti!» Grugnii. Mi si rannicchiò contro, passandomi un braccio intorno alla
vita. Scivolammo in uno stato di trance.
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